RECENSIONE: Il dono di un segno. Mistica, ascesi ed edificazione in Søren Kierkegaard


Luca S. Maugeri, Il dono di un segno. Mistica, ascesi ed edificazione in Søren Kierkegaard, Pardes Edizioni, Bologna 2012. Prefazione di Maurizio Malaguti, Posfazione di Ettore Rocca.


Il dono di un segnoCon il 2013 il «Søren Kierkegaard Forskningscenteret» dell’Università di Copenaghen ha portato a termine, con la pubblicazione del 56° volume, l’edizione critica di tutti gli scritti di Kierkegaard (Søren Kierkegaards Skrifter, a cura di N.J. Cappelørn, J. Garff, J. Kondrup et al., Gads Forlag, København, 1997-2013). Luca S. Maugeri ha soggiornato presso questo Centro proprio nel periodo in cui l’edizione critica perveniva alle sue ultime uscite, ed ha potuto così condurre la sua ricerca in modo ampio, approfondito, scientifico. La nuova edizione, completa anche nella sua versione elettronica, consente un agevole accesso anche all’immenso patrimonio di scritti da Kierkegaard lasciati inediti, non perché superati da quelli in seguito da lui pubblicati, ma in quanto destinati originariamente ai posteri perché questi potessero proseguire sulla via da lui aperta. Il giovane Kierkegaard riteneva che sarebbe morto prima del compimento del suo trentatreesimo anno, ed anche per questo cominciò subito a porre per iscritto e a ordinare con gran cura tutte le sue riflessioni, preoccupato del futuro del cristianesimo, perché conscio, prima e ben più profondamente di Nietzsche, della situazione della cristianità moderna, a suo avviso ancora colpevolmente più pagana del paganesimo classico! Alla sua morte (1855), il protocollo d’asta dei suoi libri contava ben 2748 voci, a testimonianza delle sue ampie letture e dei suoi mirati interessi. Questo patrimonio, in parte ricomposto, è a disposizione degli studiosi, come nelle intenzioni di Kierkegaard. Nel suo libro Maugeri ha fatto davvero tesoro di questa miniera di inediti, annotazioni marginali, fonti documentabili o credibili.

Il sottotitolo da lui scelto: Mistica, ascesi ed edificazione in Søren Kierkegaard, sintetizza il fondamentale risultato raggiunto. Infatti, se Kierkegaard non si fosse confrontato a fondo con i testi dei mistici medievali e moderni, certo non avrebbe potuto proporre la sua originale concezione dell’«edificazione» come «rafforzamento dell’uomo interiore», frutto di un’«ascesi» quale è possibile solo «al cospetto di Dio» [for Gud]: del Dio cristiano. Kierkegaard trae il concetto e il termine di «edificazione» dal Nuovo Testamento, in senso traslato dunque, ma a partire dal senso letterale del termine: edificare come erigere dalle fondamenta e in altezza. Per lui l’edificazione non è, come per Hegel, il surrogato della «fatica del concetto, ma la compiuta autonomia che l’uomo consegue proprio e solo con il suo porsi davanti a un Dio di irriducibile trascendenza, a quel Dio che l’uomo – come si legge nella Postilla conclusiva non scientifica alle «Briciole filosofiche» – «incontra nel tempo come l’Eterno nel tempo». Già al termine di Enten – Eller (1843) Kierkegaard colloca una finta predica che porta come titolo la tesi che guiderà tutta la sua successiva produzione religiosa: L’edificante che giace nel pensiero di avere sempre torto davanti a Dio. Come affermerà Dietrich Bonhoeffer, giusto un secolo più tardi in una delle sue ultime lettere dal carcere, solo l’uomo che sa stare da «adulto» in un «mondo divenuto adulto», può sbarazzarsi degli idoli della stessa modernità; ed allora «il nostro diventar adulti ci conduce a riconoscere in modo più veritiero la nostra condizione davanti a Dio».

La prima delle tre parti del libro riguarda scritti di Kierkegaard degli anni 1834-1844. Già in questa fase Kierkegaard, confrontandosi con Schleiermacher, I.H. Fichte, Taulero, von Baader, Böhme, Hamann, Eckhard (solo apparentemente «latitante» nelle sue annotazioni) mostra la sua originalità. Egli interviene per «disambiguare l’orizzonte semantico» dei concetti incontrati nelle sue letture, ridimensionandoli dall’«afflato metafisico e misticheggiante», a favore di una loro «risemantizzazione», guidata da «quella categoria che sarà quella “scoperta” che egli stesso si auto-attribuirà: il singolo» (p. 52). Dal 1844 si dedica, tramite il suo «progetto pseudonimo» e i testi dedicati all’«edificante», «alla ricerca di quella realtà spirituale dell’individuo singolo di cui nessun filosofo, specie fra gli idealisti, aveva saputo a suo avviso render conto» (p. 73).

La seconda parte della ricerca: «Kierkegaard, l’edificazione e il misticismo pietista», offre un’articolata rassegna dei numerosi esponenti del pietismo nell’arco di due secoli: J. Arnd, Ph.J. Spener, H. Francke, e poi G. Arnold, J. A. Bengel, G. Tersteegen, F.Ch Oetinger, e molti altri, con influssi incrociati o «triangolati» con la mistica renana, bernardiana e francescana. Per Maugeri, «il giudizio di Kierkegaard sul pietismo è decisamente ambivalente ma per nulla ambiguo, in quanto egli esprime con vivida chiarezza quali sono gli aspetti che lo ispirarono e quali invece lo allontanarono da questo tipo di spiritualità» (p. 98). In definitiva, «Kierkegaard si deciderà di andare più a fondo rispetto a una semplice testimonianza di intimità con Dio e con le sofferenze di Cristo […]. Sposterà la propria attenzione sulla lettura dei Padri apostolici e dei Padri della Chiesa proprio in funzione di ritrovare un termine di paragone puro e intatto da ogni distorsione su cui proclamare il “giudizio di Cristo sul cristianesimo contemporaneo”» (pp.100-101). Già nei Discorsi edificanti 1843, nota Maugeri, manca del tutto il richiamo al tema del cupio dissolvi, tipico di molti mistici: «Qui ogni azione dello spirito è tesa alla scoperta, all’edificazione e al rafforzamento dell’uomo interiore […]. Non si accenna dunque a nessuna “morte mistica” o ad altro tipo di annichilimento dell’io in Dio» (pp. 112-113).

La terza parte del libro si concentra sugli anni della «seconda produzione letteraria», durante i quali escono i Discorsi edificanti in vario spirito, Gli atti dell’amore, i Discorsi cristiani. Queste opere consentono a Maugeri di esplicitare l’influsso su Kierkegaard di molti «classici» del pensiero mistico: F. von Baader e J. Arnd e, tramite questi, J. Boehme, Angelus Silesius, l’Imitazione di Cristo, la Theologie Deutsch, Taulero, Fénelon, Alfonso De’ Liguori, l’Imitazione della vita povera di Gesù, oggi non più attribuita a Taulero. Proprio negli scritti di questa seconda produzione «Kierkegaard lascia più espressamente il proprio marchio».  Trae certo sequenze e immagini da mistici medievali e moderni, ma «il percorso che sembrava dischiudere le porte del Paradiso e della unio […] avviene anzitutto sempre al cospetto di Dio; dunque ci devono essere sempre un uomo (un peccatore) e un Dio (Salvatore)» (p. 162). Posto, come si legge nei Discorsi cristiani, che «l’amore unifica interamente l’uomo in Dio», ne viene che «questo amore unifica l’uomo, lo rende eternamente uno con se stesso» (p. 171). La virtù unificante dell’amore di Dio è una proprietà transitiva che si trasmette all’uomo come capacità di unificare e rafforzare se stesso nel senso dell’autonomia. Traendo spunto da un luogo dei Discorsi edificanti di vario spirito, Maugeri può affermare: «Kierkegaard e l’idealismo romantico prendono definitivamente due strade divergenti […]. Non il liquefarsi dell’anima in Dio, non l’ardore della sponsalità spirituale, ma il prostrarsi davanti a Dio che è assolutamente sovrastante e allo stesso tempo provvido Creatore dell’uomo creato a Sua immagine» (p. 146).

Maugeri chiarisce l’Anfægtelse, la famosa Anfechtung di Lutero, dalla quale Kierkegaard si dichiara affetto, rendendola in italiano con «tormento spirituale». Essa consiste in quella pena causata dal non poter fruire già in questa vita di una fede tale da rendere vana la funzione propedeutica della stessa edificazione. Ma proprio nella scoperta della portata antropologica di tale preparazione alla fruizione della fede sta l’originalità della mistica di Kierkegaard, sta cioè nel fatto che questa non è propriamente mistica, bensì edificazione: «Questa particolare mistica risulta essere unificante, prima ancora che unitiva, e mirante non tanto alla contemplazione ma all’edificazione e al rafforzamento dell’uomo interiore […]. E questo, sommessamente e in “timore e tremore”, è stato probabilmente il segno donato a Søren Aabye Kierkegaard, cristiano ordinario» (pp. 200-201). Dal panteismo Kierkegaard fu costantemente tenuto lontano proprio dall’Anfægtelse, dal «tormento interiore»; questa sofferenza è il dono che ha ricevuto: il «dono di un segno».

Umberto Regina